Diario di viaggio: Cambogia - gennaio 2004


Angkor Wat: il sito archeologico più bello del mondo.

Di tutti i siti archeologici che ho visitato in giro per il mondo, Angkor è sicuramente quello che più, di tutti mi affascina e mi emoziona.
Le radici del Ta Prohm

Grandi alberi si sono oramai impossessati per sempre delle rocce del tempio. Spesso sono propio loro che ancora tengono in piedi parte delle rovine...

La rivincita della natura

L'azione dell'uomo qui si deve fermare: se si prova a rimuovere la pianta, il tempio crolla.

La custode del tempio

Ho fatto questa foto dopo aver pagato qualche soldo ed aver offerto dell'incenso al buddha.

Vestigia di tempi passati

Il Bayon è uno dei templi più belli, oltre che il nome di una birra locale.

Le radici di un popolo

Angkor Wat: bellissimo ed imponente. Questo è soltanto uno delle centinaia di templi spersi su di un'area di molti kilometri quadrati.

Le porte dell'antica città

Il faccione dell'imperatore osserva tutti in tutte le direzioni!

Monumenti dal passato

Il complesso di Ruolos ha un fascino particolare quando pochissimi turisti lo vosotano.

Scene da un matrimonio.

Il giorno del matrimonio

Il momento culmine della cerimonia: i due sposi offrono dell'incenso e diventano marito e moglie.

Un brindisi agli sposi

L'evento particolare deve essere festeggiato bevendo alcohol di riso: un tipo prese un bicchierino dal taschino della camicia e ci offrì da bere.

Gli ornamenti della sposa

Il giorno del matrimonio é arrivato... e la sposa é bellissima.


Cambogia: Da Ban Lung a Kratie

Se credi di aver visto ogni genere si strada sconnessa... percorri questa!

In attesa della partenza

Il ragazzo che incontrai ieri alla stazione dei taxi mi disse che il pick-up per Kratie sarebbe partito la mattina seguente verso le sette. Mi suggerì inoltre di presentarmi verso le sei e mezzo per maggiore sicurezza, senza rendersi però conto di quanto fosse superflua tale sicurezza. Mi presento diligentemente alle sei e mezza, ma rinuncio a prendere il taxi che era in procinto di partire, visto la scomodità di dover viaggiare in otto o nove per 150 Km su quella che a detta della guida è una delle peggiori strade del pianeta. Insisto quindi per prendere un pick-up con quattro grosse ruote motrici, e mi sento dire: "Va bene, ma dovrai aspettare circa quindici minuti". So che il viaggio durerà non meno di sette ore imprevisti esclusi e quindi gli rispondo che per me non è un problema. Dopo circa quindici minuti effettivamente arriva l'automezzo; prendo posto sul cassone e, sebbene sia il primo, so bene che non posso essere il solo, visto che se non arrivasse tanta altra gente fino ad essere stracarichi... non partiremmo nemmeno!
Verso le sei e tre quarti arriva un altro turista ed alle sette ci dicono che saremmo partiti verso le sette e trenta. Alle otto si accende il motore e ci si mette in moto. Non essendoci però abbastanza persone a bordo facciamo soltanto un lungo giro panoramico della città per vedere se, andando di casa in casa, si sarebbe riusciti a raccimolare qualche passeggero in più. Ritornati al punto di partenza passa circa un'ora prima di sentire nuovamente il motore accendersi. Adesso siamo dieci, ma a quanto pare non basta e ci sorbiamo un secondo giro della città in cerca di passeggeri. Sono le nome e un quarto e siamo di nuovo fermi. Alle dieci partiamo! questa volta per davvero... o quasi.
Fatto un nuovo giro a raccattare qualche passeggero, mi sento chiedere di anticipare dei soldi per andare a fare benzina; successivamente ci fermiamo davanti ad un negozio per aspettare che l'autista finisca di mangiare, quindi ritorniamo allo spiazzo dei taxi per raccattare l'ultimo ritardatariocirca e di li, stavolta senza ulteriori indugi, partiamo! Alle dieci e tre quarti circa usciamo dalla città, ma il percorso non è molto lungo. Un paio di kilometri dalla città e ci fermiamo per raccattare un paio di ragazzi con tre sacchi di riso e vestiti. Nel frattempo si approfitta della sosta per riparare qualcosa sul motore; non so cosa sia successo, ma dopo aver svitato, spostato, cambiato e riavvitato, ripartiamo come se niente fosse. 

Il viaggio

La prima parte del viaggio scorre via veloce; le grosse ruote del fuoristrada hanno ragione delle grosse buche sulla strada e dei tratti dissestati. Nel frattempo noi sul cassone ci mettiamo le mascherine per ripararci dai grossi polveroni, sollevati non solo da noi ma da ogni mezzo che percorre questa strada. Dopo circa un'oretta ci fermiamo per mangiare e per comprare qualcosa da bere. La pausa dura circa una mezzoretta, il tempo necessario per mangiare e riparate qualcosa intorno alla ruota e sulla meccanica dello sterzo. Mentre sono vicino all'autista e lo guardo che smonta e rimonta perni e bulloni, vedo uno che scende dall'abitacolo con in mano una ventiquattrore. Poverino, non soffrono i polveroni, ma viaggiano decisamente scomodi, visto che dividono in otto lo spazio che era stato pensato per cinque. Non che noi ce la spassassimo visto che nel cassone eravamo in tredici seduti sulle varie mercanzie. Ma torniamo al tizio con la valigetta: fa due passi e la posa dentro il cassone vicino a dove prima mi sedevo io, perché evidentemente dentro non c'era proprio spazio. Io penso: "Se la poggia li vuol dire che non ci tiene!". Mi affretto a risalire sul mezzo e, visto che prima sedevo con una chiappa sul parafango e l'altra su di un sacco di vestiti, prendo la valigetta e me la metto sotto il sedere per stare più comodo... povera valigetta cosa dovrà passare! Lungo la strada incrociamo diversi mezzi, tra i quali uno in particolare era fermo da non poco ai bordi della strada. Ci fermiamo per dare una mano, e decisamente ne avevano bisogno visto che avevano completamente spaccato la trasmissione verso le ruote posteriori. Per cose come questa nessun cambogiano si lascia mai prendere dallo sconforto: quaranta minuti di lavoro e si rimuovono tutti i pezzi superflui o rotti! Il mezzo può adesso ripartire, anche se non ha più quattro ruote motrici ma soltanto due! Sono circa le due e giungiamo al bivio verso Kratie: di qui comincia una strada veramente allucinante, qualcosa che è difficile da spiegare: io so solo che prima non sapevo nemmeno immaginare un percorso tanto dissestato! Posso soltanto citare le parole della mia guida Lonely Planet: "[] è l'ultimo tratto della strada statale principale, per il quale mancano i finanziamenti. Con i suoi innumerevoli massi staccati e la sabbia profonda sono 141 Km di dolore e angoscia." Senza timore sfrecciamo a tutta velocità tra sassi, asfalto devastato, buche... fosse... voragini! Mi tengo forte, ma non per precauzione: per necessità. Sobbalziamo, saltiamo e sobbalziamo nuovamente; sono due ore che tiro tremende culate alla ventiquattrore su cui sono seduto! E continuerò per altre quattro ore quasi senza sosta. Ogni oggetto che al suo interno poteva rompersi adesso come minimo è in briciole! 
Spesso viaggiamo ai bordi della strada dove almeno due delle quattro ruote viaggiano su qualcosa di poco ondulato e con poche buche. Certo viaggiamo inclinati, ma almeno si sobbalza leggermente meno. 
Vedo l'autista impegnato a non sbagliare; un passo falso e ci giochiamo il semiasse! Non so come faccia a guidare visto che sta dividendo il suo sedile con un passeggero, ma del resto io ho ben altri problemi. Sono seduto vicino al bordo del cassone e se non mi tengo volo fuori. Combatto con un ragazzino per il posto dove infilare i piedi, tra una valigia ed un sacco, e cerco di tenere ferma la valigetta che una signora dietro di me continua a spostarmi da sotto il sedere spingendola con i piedi e cercando, poverina, di sistemarsi a mie spese più comoda possibile. 
Il viaggio continua, ed a stento riesco a credere ai miei occhi quando vedo di fronte a me grosse voragini piene di sabbia e profone per lo meno un metro. Il pick-up entra, sbanda e poi risale per uscirne; ed è in una di queste operazioni che ci giochiamo il paraurti posteriore che si stacca dal lato destro. Il problema non è grave, un pezzo di corda e tutto torna a posto, ma diversamente la penso riguardo al radiatore bucato! Non so come sia successo, ma prima di fondere il motore ci fermiamo nel primo villaggio in prossimità di un pozzo. Siamo al tramonto ed è il momento in cui le donne si recano al pozzo per prendere l'acqua e lavarsi. Osservo questo spaccato di vita quotidiana metre attendo che il mezzo sia di nuovo in grado di muoversi. L'autista-meccanico é pieno di risorse e, smontato il radiatore, lo ripara alla meno perggio. Purtroppo non ci riesce bene, e passiamo di restanti sessanta kilometri fermandoci ogni quindici kilometri a rimettere acqua nel radiatore. 
Oramai viaggiamo con il buio; soltanto i nostri fari illuminano la strada, o le poche luci nei villaggi che ogni tanto attraversiamo. La stellata è mozzafiato, ma a volte viene oscurata dal fumo dei piccoli incendi che ovunque bruciano ai bordi delle strade dell'entroterra cambogiano. 
Arriveremo a destinazione verso le nove e mezza; veniamo scaricati vicino all'arbergo e fimalmente posso farmi una doccia e sdraiarmi su di un comodo letto!

Al mercato di Kratie

Vita quotidiana al mercato del paese. I mercati sono sempre luoghi che riflettono bene lo spirito di un popolo.

Bloccati da un guasto

Il ritorno a Kompong Thom. Una buca di troppo e la balestra della ruota posteriore sinistra si stacca dal telaio. Con mezz'ora di lavoro ed un nuovo perno d'acciaio (non importa se un po' storto) siamo pronti per ripartire.


Cambogia: Nella provincia di Preah Vihear

Quattro giorni lungo le strade peggiori del paese, tra campi minati e persone estremamente cordiali.

Il Viaggio verso TBY

E' giunto il momento di alontanarsi da quelli che sono i classici percorsi del turismo di massa in Cambogia per andare ad esplorare l'entroterra e vedere quale sia la realtà cambogiana prima delle trasformazioni portate dall'arrivo dei ricchi turisti occidentali. Decido così di andare a Tbeng Meanchey (TBY), un remotissimo capoluogo di provincia che sembra essere il punto di partenza ideale per visitare gli sperduti templi di Preah Viehar (P.P.V.) e Kho Ker (K.K.); vado quindi a Khompong Thom, una piccola cittadina che si trova su uno dei tratti asfaltati di una delle due principali strade del paese, da dove poi si parte per TBY. I quasi 150 km che separano Khompong Thom da TBY vengono quotidianamente coperti da numerosi pick-up che per pochi dollari ti garantiscono un affollatissimo posto all'interno dell'abitacolo o, per ancora meno, una sistemazione di fortuna all'esterno nel cassone, insieme a mercanzia di ogni genere. Decido per il cassone, trovandomi un cantuccio incredibilmente comodo su di un'asse di legno appoggiata a sua volta su di un paio di sacchi di riso. Saremo in tutto più di una quindicina dipersone ed una quantità imprecisata di merci di ogni tipo. A queste si aggiungono altre otto all'interno dell'abitacolo originariamente progettato per cinque. Il viaggio comincia alle ore 8; dopo un brevissimo giro per la città per vedere se si riusciva a trovare qualche altro passeggero comincia il tragitto vero e proprio. Come previsto, la parte asfaltata di strada non dura molto, e dopo appena un kilometro imbocchiamo lo sterrato che conduce a TBY. Inizialmente le condizioni della strada non sono poi troppo disastrose; le buche non sembrano essere profonde e non c'è sabbia in giro.

Piste di polvere e ponti di legno

La strada verso TBY, percorsa su di un asse di legno appoggiato su di un sacco di riso nel cassone del pick-up.

E' invece sconvolgente (ma in futuro vedrò di peggio) la quantitàdi polvere che viene sollevata al passaggio di un qualunque mezzo. Se non si soffre molto quando si incrocia una macchina in direzione opposta, e questo a causa del fatto che il nuvolone di polvere viene attraversato in pochi istanti, differente è la situazione quando troviamo davanti a noi un altro mezzo che viaggia ad una velocità simile alla nostra. In questo caso possono anche passare un paio di minuti prima di effettuare il sorpasso ed uscire da un polverone irrespirabile che, oltretutto, limita la visibilità a non più di una ventina di metri. Il paesaggio è inizialmente costituito da un susseguirsi di vari villaggi e case isolate, quasi tutte costruite in legno e su palafitte. Verso metà del viaggio arriviamo ad un posto di ristoro dove mangiare un boccone prima di ripartire. Si tratta di un villaggio dove qualcuno ha deciso di guadagnarsi da vivere cucinando per le persone che stanno compiendo questo tragitto. Ne approfitto per fare due passi, dare un'occhiata in giro e fermarmi ad osservare i grossi cartelloni educativi posti bene in vista ai bordi della strada. E' infatti questo lo strumento principale utilizzato per insegnare alle popolazioni rurali cose fondamentali come "non bisogna dar fuoco alla foresta", "non bisogna pescare lanciando bombe a mano nell'acqua", "non bisogna toccare strani oggetti per terra perchè potrebbero essere mine ed espodere", "non bisogna uccidere e picchiare", ecc. ecc. In particolare sul discorso delle mine i cartelli sono molti e presenti in tutti i villaggi, a sottolineare la gravità della situazione un pò su tutto il territorio cambogiano. Dopo un'oretta di pausa il viaggio riprende; la strada peggiora un pò ed il paesaggio cambia leggermente. Al posto di case adesso si vedono principalmente alberi e foresta. Devo stare attento, perchè spessissimo il pick-up passa un pò troppo vicino al bordo della strada, ed i passeggeri all'esterno, tra cui me, ricevono sovente le frustate dei rami più sporgenti degli alberi. Purtroppo questa foresta è destinata a scomparire; nonostante i cartelli governativi esortino a non toccare gli alberi, la gente del posto continua ad appiccare incendi e bruciare fascie sempre maggiori di territorio. Attraversiamo decine e decine di focolai accesi, ed il puzzo di bruciato si sente nettissimo. La vegetazione non è fittissima, e gli incendi, anche durante la stagione secca, sono destinati a spegnersi in qualche giorno senza estendersi eccessivamente. Ad ogni modo fiamme ancora accese accompagneranno perennemente il mio viaggio nell'entroterra del paese. Dopo circa sei ore di fatica, arriviamo e destinazione e vedo con i miei occhi la città di TBY

TBY

Curiosità

La bicicletta si fermó ed il bimbo mi si avvicinó incuriosito e divertito...

Banane alla griglia

Banane alla brace: una prelibatezza locale.

TBY è una piccola cittadina con soltanto due strade principali, ovviamente nessuna delle quali asfaltata. Si può attraversare a piedi in meno di una ventina di minuti, ma i mezzi di trasporto più utilizzati rimangono come sempre motorini e biciclette. La loro velocità  e dimensione fa si che al loro passaggio non si provochino particolari disagi; diversamente accade per quei pochi mezzi quali pick-up, automobili o camion che con il loro movimento sollevano enormi nuvoloni di polvere costringendo chiunque si trovi nelle vicinanze a trattenere il respiro per qualche momento. Ad ogni modo scoprirò poi che questa non è la città  più polverosa della cambogia. Per quanto siano pochi i turisti che si spingono fino a qui, ci sono un considerevole numero di guest-house ed un paio di ristoranti; inoltre un numero sorprendente di persone parla discretamente inglese. Vista comunque la sua posizione remota, non esiste una rete di telefonia fissa, e soltanto i telefoni cellulari permettono di comunicare con il resto del mondo. Grazie all'aiuto di un ragazzo cambogiano, scopro addirittura che è possibile connettersi ad internet. Su mia indicazione, lo stesso ragazzo, che mi dice orgoglioso di essere un infermiere, mi trova colui che definisce "un esperto guidatore" per poter raggiungere quelle che sono le vere mete della mia visita in questa provincia di Preah-Vhiear: il tempio P.P.V. e Kho-Ker. Ho bisogno di un esperto guidatore perché so che le strade in questa regione sono davvero pessime e che la zona è piena di campi minati ancora non coinvolti nell'opera di sminamento. Contrattiamo a lungo sul prezzo. Lui mi chiede 80 dollari per due giorni di guida, soprattutto sottolineando le difficili condizioni di guida dovute allo stato delle strade, ma io non sono disposto a pagarlo non più di 40 dollari ed alla fine la spunto. Sarà  soltanto tra un paio di giorni che mi renderà  conto che probabilmente di dollari ne meritava 120. Mi saluta e ci diamo appuntamento per il giorno dopo alle sette. Oramai si e fatto buio e decido di andare a dormire.

PPV

Il momento della partenza è arrivato e comincia il tragitto verso PPV attraverso una delle più brutte strade della Cambogia. Siamo io, la mia guida ed una vecchia motocicletta dall'aspetto un pò malridotto che ad occhio e croce avrà  già  percorso almeno un centinaio di migliaia di chilometri. Mi rassicura comunque vedere che tra l'attrezzatura a disposizione abbiamo anche una camera d'aria di scorta ed una pompa per gonfiarla, forse una magra consolazione, ma in posti come questo piccoli dettagli di questo tipo ti fanno capire che chi hai davanti non è uno sprovveduto e sa quello che sta facendo. Inizialmente la strada non è troppo male, il che significa che viaggiamo su di uno sterrato discretamente piatto con sporadiche buche di medie dimensioni. Poco distanti dal centro cittadino attraversiamo una serie di villaggi abitati da contadini; le loro case, rigorosamente di legno, sono tutte costruite su palafitte, per meglio ripararsi dagli animali e dalla polvere, nonchè dalla montagna di fango che ricopre ogni cosa durante la stagione delle piogge. Sorpassiamo motorini, biciclette e carri di buoi; sono infatti questi i principali mezzi di trasporto qui utilizzati, perché qui la gente è poverissima e solo pochissimi possono permettersi qualcosa di diverso. Non posso non pensare al fatto che solo quello che ho addosso in contanti rappresenta da queste parti circa quindici anni di guadagni; ad ogni modo, ogni volta che mi fermo e scambio due parole, la gente si dimostra sempre cordialissima e la sua espressione è sempre gentile: mai, in nessun momento, mi sono sentito in pericolo od a rischio di essere rapinato, e, mi viene da pensare, mai ho incontrato nei miei viaggi gente più cordiale. Addirittura diventa quasi una fatica dover rispondere al saluto di tutti i ragazzini, e non solo di loro, che mi vedono e mi gridano "hallooo!". Dopo alcuni kilometri il paesaggio cambia drasticamente; non ci sono più ne villaggi ne case, e neanche ragazzini che salutano: si vede soltanto foresta. La strada pure si è trasformata, e se prima la si poteva definire tale, adesso è molto più simile ad una pista vagamente sabbiosa. Passano ancora alcuni kilometri ed ecco che le difficoltà  arrivano. Adesso la pista è diventata a tratti sabbiosa ed estremamente accidentata; i grossi solchi che la attraversano, creati dal passaggio di grossi camion durante la stagione delle piogge, vanno evitati e le buche aggirate. Sgonfiamo un pò il pneumatico anteriore in modo da rendere meno difficile mantenere il motorino in piedi e nella giusta direzione. La mia guida non nasconde la fatica che sta facendo, ma mi rassicura che va tutto bene. Rimango sconcertato se penso che riusciamo ad andare avanti soltanto perché siamo nella stagione secca, unico momento in cui la strada può essere definita praticabile. Nella stagione delle piogge soltanto grossi camion dalle ruote giganti e carri trainati da buoi possono affrontare quasi serenamente una strada che metterebbe a dura prova i più esperti fuoristradisti. Ogni tanto incontriamo altre persone ed altri mezzi di trasporto, tutti qui accomunati dal fatto che stiamo affrontando le stesse difficoltà  sulla stessa strada infernale, ma sempre differenziati dal fatto che io sono qui per turismo e tutto sommato mi sto divertendo, mentre per loro questo tragitto è l'unico collegamento stradale con il resto del mondo. La monotonia del viaggio e del susseguirsi di buche e relativi sobbalzi è a volte interrotta dalla presenza di piccoli ponti di legno dall'aspetto vecchio e malridotto, o dall'odore del fumo provocato dagli innumerevoli piccoli incendi che in continuazione bruciano zone di foresta a ridosso della strada. Gli alberi non sono fitti e non ci si deve immaginare quelle enormi fiamme a cui siamo abituati dai telegiornali. Piuttosto si tratta di un susseguirsi di piccoli focolai che prima o poi si spegneranno da soli; alla fine però la situazione non sarà  diversa e si vedrà  soltanto una più¹ o meno vasta distesa nera. Dopo un paio di ore il viaggio comincia ad essere stancante anche per me che non sto guidando, visto che anche il solo rimanere in sella necessita di un cero impegno. Dopo tre ore di viaggio il tratto disagevole di strada improvvisamente finisce e ci immettiamo su di una larga e discretamente ben sistemata strada sterrata da percorrere per ancora mezzora prima di raggiungere la meta ed aver coperto i poco più di cento kilometri previsti. E' proprio adesso, però, che si mostra evidente davanti ai miei occhi uno dei maggiori drammi che il popolo cambogiano deve sopportare a seguito dei tanti anni di guerra che ripetutramente hanno sconvolto il paese. Sugli alberi ai bordi della strada, ad una distanza regolare di qualche centinaio di metri, si susseguono i cartelli rossi con il disegno del teschio e la scritta "Pericolo! Mine!" Tutta la zona è un grosso campo minato, dove chi si allontana anche solo di poche decine di metri dal sentiero battuto rischia davvero di perdere una gamba od addirittura la vita. Fortunatamente la strada è sicura; sono oramai anni che persone e mezzi la percorrono, e sono evidenti i segni di tale passaggio. Ricevo inoltre conferma di questo fatto chiedendo in giro: sono oramai molti anni che non ci sono più segnalazioni di incidenti da parte di chi è rimasto sui sentieri battuti. Percorsa anche l'ultima mezzora di strada, arriviamo finalmente ai piedi della collina sulla cima della quale sorge il tempio. Sono nella zona nord della Cambogia, a poche centinaia di metri dal confine con la Tailandia. Una decina di minuti di riposo dopo il faticoso tragitto ed ecco che siamo pronti per percorrere a piedi l'ultimo tratto di strada fino alla cima.

Le conseguenze dei bombardamenti

Un grosso cartellone ai bordi della strada: ecco il modo con cui insegnare a non raccogliere strani oggetti da terra perché potrebbero essere mine ed esplodere.

Anche qui è pieno di cartelli indicanti il fatto che la collina è di fatto un grosso campo minato; uno in particolare esorta in modo esplicito, sia in lingua cambogiana che in inglese, a non uscire dal sentiero battuto, a non raccogliere strani oggetti da terra, a non camminare in zone coperte dalla vegetazione, ed a chiedere alle persone locali in caso di dubbio. Nuovamente sono però tranquillo, visto che anche questo tratto di strada è continuamente percorso da grossi fuoristrada, ma soprattutto perchè sono evidenti i segni dei lavori effettuati sulla strada che sto percorrendo. Le sorprese non sono comunque finite, e me ne accorgo non appena arrivo in cima alla collina. Ai bordi della strada, oltre ai soliti cartelli, vedo adesso una serie di paletti bianchi numerati piantati perterra e poco più in la una sorta di infermeria di emergenza ben segnalata dalla bandiera bianca con croce rossa. Mi fermo per osservare meglio e capire di cosa si tratta e noto che un gruppetto di persone, vestite con pesanti tute protettive e caschi, si muove lentamente tra i paletti bianchi gurdando per terra. Mai mi sarei aspettato, prima di partire, di trovarmi a guardare uno sminatore al lavoro ad una ventina di metri da me. E' mezzogiorno; al suono di un fischietto gli sminatori si levano le protezioni e si dirigono verso il chioschetto del cibo per la pausa pranzo. Uno di loro parla un pochino di inglese e colgo quindi l'occasione di scambiare due parole. Mi dice che il suo è un lavoro lungo, ma che oramai li sulla cima della collina sono a buon punto. Percorro gli ultimi cento metri che mi separano dal tempio e vedo qualcosa che questa volta, purtroppo, mi aspettavo: il tempio è invaso da bancarelle di souvenirs, venditori di bibite fredde, ragazzini che vendono cartoline, ma soprattutto da centinaia di turisti tailandesi. Decine di comitive che hanno portato li adulti e bambini di tutte le età. Loro sono arrivati dal lato tailandese percorrendo la strada statale, perfettamente asfaltata, a bordo di lussuosi autobus con aria condizionata; probabilmente non hanno la minima idea di quello che ho passato io. Non sono però l'unico a provenire dal lato cambogiano; incontro infatti un tedesco che, affittata una moto nella capitale, si sta girando un pò tutto l'entroterra cambogiano guidato da vecchie cartine militari e da un GPS. Visito il tempio, che purtroppo ha perso gran parte del suo fascino essendo meta del turismo di massa tailandese. Ad ogni modo non è affatto male, ancora ben conservato per quanto riguarda la maggior parte degli edifici che lo compongono. Sicuramente la vista che si gode su tutta la pianura circostante può essere definita "mozzafiato". Mi fermo un pò a giocare con i bambini che cercano di vendermi cartoline o vecchie banconote da collezione; i più grandicelli li osservo gironzolare attorno ad un vecchio pezzo di artiglieria dimenticato li da non troppi anni e rivolto verso il confine con la Tailandia. Dopo un paio d'ore decido di ritornare, devo solo recuperare in qualche modo la mia guida. Lui era infatti crollato dalla fatica a metà della salita, l'ho ritrovato dopo un'oreta stremato nei pressi di una bancarella a sorseggiarsi una bibita e probabilmente adesso starà dormendo da qualche parte. Su indicazione della proprietaria di quella stessa bancarella, scopro invece che, senza dirmi niente, aveva deciso di ritornarsene alla moto ed aspettarmi ai piedi della collina. Il viaggio di ritorno dura anch'esso tre ore e mezzo circa, con le stesse difficoltà e la stessa fatica. Ci fermiamo soltanto una volta per auitare una famiglia bloccata lungo la strada per aver bucato la ruota anteriore del motorino. Non avevano l'occorrente per riparare la camera d'aria, nè ne avevano una nuova; si stavano arrangiando come potevano e com'è tipico di un popolo la cui povertà ha reso le persone piene di risorse: stavano riempiendo il copertone di erba... e probabilmente la cosa, nella sua provvisorietà, avrebbe funzionato. Fortunatamente per loro non hanno dovuto scoprirlo, visto che gli abbiamo venduto la nostra camera d'aria di scorta. Arrivati oramai con il buio in città mangio un boccone al ristorante e mi dirigo poi in albergo per essere poi pronto, la mattina susseguente, per andare al tempio di Kho Ker.

Kho Ker

Se il percorso verso PPV prevedeva una meta popolare, quello per Kho Ker prevede l'arrivo in uno dei posti più sperduti di tutta la cambogia. Il viaggio, sebbene più breve, è forse persino più difficile. Oltre ai molti ponti in legno costituiti da una serie di assi vecchie e dissestate, il motorino (che voglio ricordare sta portando sempre due persone) si incaglia spesso negli spessi strati di sabbia che a tratti coprono la strada. Come ieri il paesaggio è davvero stupendo, costituito in gran parte da foresta praticamente incontaminata per decine di chilometri in tutte le direzioni. L'esistenza di insediamenti umani è indicata dalla presenza di diverse persone del posto che, su motorini o su carri di buoi, percorrono la mia stessa strada. Anche qui come sulla strada verso PPV, si susseguono i piccoli incendi ed i cartelli indicanti la presenza di campi minati, ed anche qui vedo gli automezzi del MAG (Mines Advisory Group) con i suoi sminatori al lavoro a circa trenta metri dalla strada che sto percorrendo.

Kho ker

Kho Ker, uno dei posti piú sperduti di tutta la Cambogia, decine di kilometri dentro la jungla.

Sorrisi

Mi chiedo cosa stesse pensando di me questa ragazzina.

Dopo un paio d'ore di viaggio arriviamo in un villaggio dove ci fermiamo un attimo per riposarci. E' un tipico villaggio dell'entroterra cambogiano, con le case di legno costruite su palafitta, il mercato alimentare dove comprare ogni genere di frutta e verdura coltivato nei dintorni, il meccanico che ripara i motorini (che rimangono il mezzo di trasporto più diffuso) e tutto ciò che un normale villaggio di medie dimensioni necessiti. C'è persino un posto di polizia, un ristorante ed un cinema. E' importante però precisare che il ristorante altro non è che una casa di contadini con davanti alcuni tavoli e sedie, e che il cinema altro non è se non una televisione con un videoregistratore posti all'interno di una baracca di legno ed alimentati dalla batteria di un camion. Le linee della corrente elettrica, così come le condutture dell'acqua potabile, qui, come in molte parti del paese, non arrivano affatto; l'acqua di cui si ha bisogno viene presa dai pozzi e raccolta in grandi giare e la corrente elettrica, quando serve, viene presa da batterie di camion caricate da gruppi elettrogeni. Ripartiano, ed ecco che dopo un'oretta le mia guida indica un punto nella foresta e dice: "Kho Ker". Devo aspettare di essermi avvicinato un centinaio di metri per vedere chiaramente, nella vegetazione, le rovine del tempio. L'atmosfera è a dir poco fantastica e gironzolare tra le varie aree del tempio, così coperto dalla vegetazione e così sperduto nella foresta e davvero emozionante. Dalla punta del tempio si osserva la foresta circostante e soltanto il rumore del vento è udibile. Mi godo atmosfera e paesaggio e dopo un paio d'ore riprendo la strada del ritorno per cercare di non essere costretto a viaggiare con il buoi su queste strade.

Ritorno a Kompong Thom

I pick-up per KT partono dal piazzale al centro della cittadina verso le otto di mattino. Quando mi presento con il mio zaino in spalla verso le sette e trenta, un folto gruppo di persone mi corre incontro cercando, ognuno, di trascinarmi sul suo automezzo. La scelta è discretamente ampia; posso decidere se viaggiare su canna da zucchero, mobili, porte di legno, sacchi di riso, e quant'altro. E' ancora presto e trovo soltanto poche persone sul mezzo che scelgo; ad ogni modo non mi illudo, perchè so benissimo che altre arriveranno e viaggeremo di sicuro in una ventina, pigiati fra gli spazi lasciati vuoti dalle varie mercanzie. Il viaggio non è lunghissimo, soltanto sei ore se non ci sono imprevisti, ma come sempre il disagio maggiore viene dalla polvere, dagli scossoni, e dalle frustate che ci si prende dalla vegetazione quando il mezzo viaggia troppo vicino al bordo della strada. Ora che ho l'occhio più allenato noto anche qui i soliti cartelli rossi con il teschio; ritrovo inoltre gli stessi incendi visti durante il viaggio di andata, ed il mio sedere ritrova le stesse buche e gli stessi sobbalzi già  sperimentati. Tutto sommato si è rivelato un viaggio tranquillo, a parte quando si è spaccato il perno di acciaio che tiene la balestra della ruota posteriore sinistra attaccata al telaio; di conseguenza la ruota si è spostata andandosi ad incastrare contro il parafango. Se qui in occidente aspetteremmo un paio d'ore il carroattrezzi per farci portare in officina, in cambogia se non te la sai cavare aspetti un miracolo e ti prepari a dormire all'aperto. Il nostro autista, invece, ha trovato un perno sostitutivo e, sebbene questo fosse un pò storto, è riuscito ad utilizzarlo ugualmente: nel giro di mezz'ora eravamo di nuovo in corsa. Arrivati a destinazione mi trovo una camera d'albergo e noto che comincio a sentire la stanchezza dovuta alle avventure di questi quattro giorni; trovo comunque la forza di sorridere con gusto quando al ristorante vedo tra le portate "acqua fritta con pollo" o per i vegetariani "acqua fritta con verdure". Non oso immaginare cosa mi avrebbero portato, e decido di non indagare sulla questione; consumo il mio pasto a base di spaghetti di riso fritti e mi dirigo verso un negozietto dove so che mi posso connettere ad internet e controllare la mia posta. Conosco il proprietaio visto che giorni fa mi sono fermato nello stesso posto. Lui mi riconosce e mi saluta; mi chiede di questi giorni, dove sono stato, se mi è piaciuto, ed io gli racconto con un certo entusiasmo dei posti che ho visto e delle esperienze che ho fatto. I suoi occhi però si rattristano; mi rendo subito conto della situazione e mi dispiaccio della mia colpevole poca attenzione al modo con cui dico le cose. A questo punto mi dice: "Sei un ragazzo fortunato... io quei posti non li ho mai visti perchè mi costerebbe troppo andarci.". La cambogia è anche questo: persone che per lo standard del luogo non sono povere ma che comunque non possono permettersi di muoversi e viaggiare nel loro stesso paese per mancanza di denaro. Pensare che in tutto avrò speso meno di ottanta dollari, e che a lui la stessa cosa, non dovendo pagare necessariamente i quaranta dollari ad una guida, verrebbe a costare meno di quarata dollari. Lo saluto, facendogli i migliori auguri per lui, la sua famiglia e la scuola di lingua inglese che dirige; mi dirigo quindi in albergo per riposarmi. Domani riprenderò il classico circuito del turismo tradizionale andando a visitare la capitale del paese.


Cambogia: Il campo di detenzione S21 a Phon Pen ed i killing fields

Quando la follia umana non ha limiti.


Un pò di storia

La Cambogia ha avuto una storia molto travagliata, che ha raggiunto il culmine dell'orrore negli anni di dominio dei Kmer Rossi. Pol Pot, loro lider, portò il paese ad un tale livello di miseria tale da farmi stupire del fatto che la Cambogia esista ancora. Lo sterminio che Pol Pot attuò sui cambogiani è paragonabile, se non per certi versi peggiore, a quanto fece Hitler nella sua Germania.

La visita al campo S41

Al quel tempo avevo trent'anni, e la storia della Cambogia non la conoscevo affatto e, scioccamente, prima di intraprendere il viaggio, non mi ero nemmeno informato. Arrivato a Phon Pen, la capitale, prendo una camera in un simpatico ostello, dove alcuni ragazzi stanno guardando un film dal titolo Urla nel silenzio. Oramai è sera, ho già cenato e mi aggrego al gruppetto nella visione del film. Vi consiglio di guardarlo, è a dir poco scioccante. Colpito da quello che ho visto, prendo la guida e vedo che il campo di detenzione presente nella città è aperto alle visite del pubblico.

Il giorno dopo mi reco all'ingresso del campo e comincia la visita. Il campo era originariamente una scuola; nelle varie aule venivano reclusi i detenuti, per quel breve periodo che li separava dalla morte. La sala interrogatori, la cui unica funzione era quella di torturare il prigioniero per fargli ammettere le colpe, era arredata con alcuni strumenti di tortura. La guida ci spiegava che si veniva uccisi per i motivi più assurdi; alcuni avevano la colpa di portare gli occhiali, altri di essere parenti di persone amiche di cospiratori contro il regime, altri ancora venivano accusati di cospirare contro il regime perché a sessant'anni non lavoravano con la stessa energia di un ventenne, altri per aver screditato il regime avendo fatto la cacca in un pezzo di terra di proprietà dello stato. Le condizioni di vita nel campo erano drammatiche; ricorderò sempre la storia delle persone bastonate a morte per avere cambiato la loro posizione, il modo in cui stavano sdraiati. Sono decine le storie drammatiche, ed in rete è possibile trovare decine di documentari che le raccontano. 
Sono rimasto davvero colpito da quello che ho visto, soprattutto in relazione al fatto che prima del viaggio non ne sapevo niente. Uscito dal campo mi guardo intorno, e vedo un paio di negozi nei quali vengono venduti prodotti artigianali fatti da donne nullatenenti e portatrici di handicap causati dalle decine di migliaia di mine antiuomo presenti sul territorio. Giro e guardo tra gli scaffali, notando che si tratta di oggetti pregevoli; leggo alcune storie delle donne che li hanno realizzati e noto che sono storie di rivincita, storie di gente che ha patito molto, ma che vuole riprendersi, sollevarsi e ricominciare, ricca di una dignità che ho trovato in poche popolazioni al mondo. 

killing fields

Dopo poche ore sono andato a visitare il campo di sterminio dove i bambini venivano uccisi facendo sbattere le loro teste contro gli alberi. Questa era una pratica diffusa in quanto potevano essere risparmiate delle pallottole. Questo luogo è uno dei tanti killing fields sparsi per il paese. Anche qui la scena è quindi impressionante; un enorme mausoleo per tutte le vittime del luogo contiene infatti le migliaia di teschi ritrovati in quella zona. Dei ragazzi mi si avvicinano e mi chiedono se volessi provare a lanciare qualche bomba a mano. Sulle prime non capisco, poi mi ricordo di un trafiletto che avevo letto pochi giorni prima: la guerra ha lasciato nelle mani della popolazione una gran quantità di armi, ed ora chi le tiene, probabilmente in modo illegale, offre ai turisti la possibilità di divertirsi ad usarle in cambio di pochi soldi.
Lascio anche questo secondo tristissimo luogo; mentre sono a cena in un semplice ristorantino lontano dalla folla dei turisti, mi concedo alcuni minuti per riflettere su quello che avevo visto. Non saprei spiegarmi esattamente il perchè ma ho scoperto di essere rimasto maggiormente turbato da quanto avevo visto quel giorno, rispetto a quanto avevo visto nel mio viaggio in Polonia.